Wednesday, March 26, 2014
Sunday, July 14, 2013
Saturday, March 3, 2012
Monday, November 28, 2011
MEANINGLESS
Someone said that good boys go to heaven
someone said that bad guys go to hell
Mama said that I should go to church on Sunday
Papa said I'd better find a job
but now everything is meaningless
'cause you may not care about me at all
Johnny said the world is just a big fake
Lisa said that Johnny's just a fool
David said we're living for the God’s greatest plan
I believe life's just a trip
but now everything is motionless
'cause you may not care about me at all
Mama thinks I’m ready for my step forward
Gotta catch the road find the way
Posted by Anonymous at 10:25 PM 0 comments
Saturday, August 6, 2011
Backstage di Arena Sonica, 02/08/2011
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Sunday, June 26, 2011
New Cover in FREE DOWNLOAD!
Carissimi,
01/07 MELLOW MOOD SUNSET PARTY - Bergamo
02/08 ARENA SONICA w/ The Thermals (SUB POP) - Brescia
27/08 TENDA BLU - Festa di Radio Onda d'Urto - Brescia
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Thursday, May 5, 2011
Aggiornamento rassegna stampa
Cliccate sul link per leggere la recensione completa:
"35 minuti di bella musica, che profuma di giorni lontani (a cavallo fra 60 e 70 diciamo) ma sa guardare oltre le nostalgie"
IL MUCCHIO SELVAGGIO
"reazioni che profumano di cambiamento nella continuità (...) e la pienezza raggiunta da esecuzione, scrittura e cantato"
SENTIREASCOLTARE
"Un disco solido, senza cadute di stile"
ONDAROCK
"un percorso sonoro che giunge oggi (...) alla piena maturità espressiva e al giusto equilibrio..."
ROCKERILLA
"una band finalmente completa, capace di fare tante cose insieme senza smarrire la propria identità"
ROCKIT
"Se la band bresciana aveva ancora qualcosa da dimostrare, l’ha dimostrata proprio con questo album che (...) dimostra di essere compatto, unico, senza discrepanze"
MESCALINA
"Un album più maturo nella qualità del sound, con un forte richiamo al british pop dei primi anni’90 e dove l’uso minore di glockenspiel e xilofoni conferisce, rispetto ai lavori precedenti, un’atmosfera meno sognante e più concreta"
LOST HIGHWAYS
"è un disco di un gruppo “cresciuto”, ricco e allo stesso tempo essenziale"
INDIE-ZONE
"si fa notare per un sound immediato, deciso (ma morbido allo stesso tempo) e maturo."
INDIERIVIERA
"dieci tracce, una più bella dell'altra"
DANCELIKESHAQUILLEO'NEAL
"(...) una varietà incredibile nel sound dei brani e un songwriting molto più maturo rispetto alle uscite precedenti, che ci toglie anche il necessario beneficio del dubbio"
THE WEBZINE
Posted by Anonymous at 7:46 AM 0 comments
Saturday, April 30, 2011
Monday, April 18, 2011
Rassegna stampa, part 1
L’ultimo anno è stato foriero di novità per questa brillante formazione bresciana. Innanzitutto l’amichevole forfait del bassista Giorgio Marcelli, nella line-up sin dall’inizio; poi, la Ghosts’ Legs finita nello spot pubblicitario di una nota compagnia telefonica. Soddisfazioni e momenti che hanno lasciato un segno, come l’essere in giro da un lustro con la mente da “trenta e qualcosa”. Così che si avverte subito in questo terzo album che qualcosa è cambiato, che la formula dei dischi precedenti (all'incirca: una personale sintesi di Eels e Wilco, Grandaddy ed Elliott Smith) poteva rimanere valida solo se sottoposta ad aggiustamenti di rotta che tenessero conto del vissuto. Parlano allora chiaro un titolo e uno scatto di copertina che suggeriscono un fare quadrato, ma soprattutto la sicurezza con cui il quartetto prosegue a sintetizzare tra loro i modelli di cui sopra nel mentre ne indaga i rispettivi padri. Da qui una maggiore elettricità, quel jingle-jangle muscolare alla Big Star che - pur non adombrando l’anima acustica: si vedano il country crepuscolare Merry-Go-Round e la gemma Suitcase, un Brian Wilson folk-rock - pervade diversi brani (la secca apertura For You, una Beautiful Mind di ruvida emotività, la trascinante Place To Hide) e fa bel paio con l’innesto di Gabriele Ponticiello, strumentista eclettico e raffinato. Reazioni che profumano di cambiamento nella continuità, come la produzione arguta di Giovanni Ferrario e la pienezza raggiunta da esecuzione, scrittura e cantato. Non da tutti, infatti, la sfoglia chiltoniana Meanigless, con un refrain splendido per come rende naturale la complessità, e una commovente Shooting Star da George Harrison alle prese col dylaniano Oh Mercy (l’ombra di Daniel Lanois si stende anche altrove, sullo strumentale Homestead e su certi toni traslucidi); altrimenti, la sensazionale articolazione di una Airstrip Zero in continuo ondeggiare tra luci e ombre e la conclusiva, visionaria Grand Avenue, sintesi di stile e insieme ponte verso il futuro. Maturità, ti accogliamo a braccia aperte. E chissà che qualcuno non presti orecchio anche all’estero.
Giancarlo Turra
ONDAROCK
Dipende un po' tutto da cosa si pretende da una band italiana, indipendente o no che sia. Rinunciare non solo all'italiano, ma più in generale a esprimersi secondo un proprio codice musicale, è un criterio di giudizio per valutare la qualità di una proposta? Anche coloro che lo considerano tale ammetteranno che una delle condizioni necessarie ad attuare l'obiettivo, ad esempio, di creare o alimentare una "scena" localizzata ma feconda è la passione di una band per quanto di prettamente artigianale risiede nell'attività di produzione della propria musica.
È proprio questo che rende la carriera degli Annie Hall, band bresciana composta da Fabio Dondelli, Andrea Abeni, Gabriele Ponticiello e Massimiliano "Budo" Tonolini, importante per la musica italiana che cresce e si sviluppa dietro le quinte. Prima ancora dei proclami di indipendenza artistica, dello sbandieramento di improbabili manifesti sonori, viene la ricerca, lo sviluppo negli anni di un tessuto d'arrangiamento sempre più spesso, col quale ricoprire una materia prima ancora fresca. Ora, infatti, i Nostri ripropongono il tutto giocando "da grandi" e, con l'aiuto prezioso di Giovanni Ferrario (PJ Harvey, John Parish, Morgan, Hugo Race, Scisma), pubblicano il disco della maturità, il loro terzo. Dopo l'interlocutorio " Carousel", questo "Annies" riporta i quattro di Brescia a una forse inaspettata energia, compositiva e d'arrangiamento, che riesce a proiettarli oltre l'ombra sempre incombente (la pur bella "Airstrip Zero" su tutte) dei beneamati Wilco. Sono in particolare le sfumature di alt-country più ruspante, solare ("Place To Hide") - che li portano sulle sponde del primo Tweedy, quello che, insieme a Farrar, componeva gli Uncle Tupelo - e il gusto melodico meno serioso di Dondelli ("Beautiful Mind", sghembo e wilsoniano nella coda di "Suitcase") a spostare l'attenzione da un riferimento che può essere considerato più una stella polare di gusto musicale, che un canovaccio da seguire pedissequamente.
Non per questo "Annies" è da considerarsi dimesso, senza aspirazioni: prova ne sia una ballata pianistica come "Shooting Star", di una misura, di un'intensità forse inaudita per la band bresciana (viene in mente "Los Angeles" di Phosphorescent, uno dei migliori pezzi dell'anno scorso). Altro che understatement alleniano! Suscita quasi un'esclamazione di positivo stupore la mutazione di "Grand Avenue" da uggioso rimuginare à la Mr. E (già apparso in "Meaningless") ad avventura chitarristica baciata dal sole.
Difficile non ravvisare questa rinnovata e alquanto amplificata capacità espressiva della band in una complessiva ritaratura, specialmente dello stile di Dondelli, ora in pieno controllo della propria vocalità, ormai assai lontana dai timidi tentativi del pur riuscito " Cloud Cuckoo Land". È il territorio in cui lo stile impeccabile di Abeni trova modo di esprimersi al meglio, con incursioni chitarristiche che costituiscono il vero valore aggiunto di "Annies" (menzione speciale allo stacco seventies di "Place To Hide"), senza nulla togliere alla prova degli altri musicisti.
"Annies" è, insomma, più di una conferma, è il segnale che si attendeva da una band che aveva finora mostrato solo potenzialmente di poter "fare sul serio": un disco solido, senza cadute di stile.
Lorenzo Righetto
ROCKIT
Meno glockenspiel e xilofoni, più spessore e pop che spacca. Perché il nuovo disco degli Annie Hall, "Annies", è un disco pop, dalla A alla Z. Quello da dizionario di musica, per intenderci, non certo quello di Britney Spears. Un album di fotografie pop che dagli anni '60 si sfoglia che è un piacere, fino alla musica dell'altro ieri. Un tributo ai Velvet Underground, ai Beatles, ai Pink Floyd e agli Annie Hall. Un bel disco, con più carne a fuoco del solito. Con una traccia da un minuto e un'altra da cinque, senza il fastidio dello stacco. Uno dei temi di fondo sembra essere quello della "valigia", della "fuga", delle cose nascoste da tenere per sé. "Non c'è modo di farli andare via – canta Fabio in "Beautiful Mind"– Non so che fare". Poi uno se la aggiusta a modo suo: senti le voci e stai impazzendo? Sei lì, "waiting for your man" e vedi polizia intorno? O sei perseguitato da una storia d'amore che si è già schiantata a terra? Fatto sta che gli Annie Hall, nonostante l'inglese e canzoni che possono essere assimilate a quel filone indie pop che farebbe di tutto pur di rimanere nascosto nella sua nicchia, dicono qualcosa. Non cantano parole a caso, né spacciano per ermetici testi che, spesso, vengono messi come riempitivi di più importanti sperimentazioni musicali o manipolazioni di aggeggini elettronici e drum machine. Tutte cose che anche loro infilano qua e là, ma in maniera sapiente e con una semantica delle liriche che li segue, o almeno ci prova, passo passo. E magari tra qualche mese ci troviamo un pezzo come "Meaningless" a fare da sottofondo a qualche altro spot di telefonia o di qualcuno che cucina la stessa pasta a distanza. Con un velo di malinconia e di ovatta che dà il giusto impianto lo-fi a certi pezzi, "Annies" ha assoldato più chitarre estrose e versatili, e pezzi come "Shooting star" o "Homestead" (flash strumentale che tra onde del mare e fisarmonica sarebbe perfetto per i saluti al sole dello yoga) divide un po' il disco in due parti. E questa seconda sembra più scura, graffiante, psichedelica, con "Airstrip Zero" che è una grande canzone, completa nell'assemblare ispirazioni progressive. In chiusura, una ballatina più allegra con accenni di country e folk ("Merry-go-round") e "Grand Avenue", che è un piatto unico in cui ci si gioca tutto. Tutte le carte messe sul tavolo fino ad ora. Certo, gli ascolti del passato e le influenze si sentono. E parecchio. Ma ciò non toglie bellezza all'album, che rimane compatto e con dieci tracce che incuriosiscono. E danno l'idea di avere a che fare con una band finalmente completa, capace di fare tante cose insieme senza smarrire la propria identità.
Sara Scheggia
INDIE-ZONE
Avete presente quel motivetto così soffice e delicato che accompagna lo spot della Wind business? Quella classica canzoncina che mentre ascolti una pubblicità ti rimane impressa ma spesso non sei in grado di capire chi ne è l'artefice e così finisci a smanettare su internet per cercare di dare pace alla tua curiosità? Beh il pezzo del mistero è Ghosts' Legs (brano d'apertura di Clou Cuckoo Land del 2007 prodotto da Pippola Music) e i colpevoli in questione sono gli Annie Hall, da Brescia, che, proprio in questi giorni, se ne escono con il loro terzo lavoro in studio: Annies.
Annies è un disco di un gruppo “cresciuto”, ricco e allo stesso tempo essenziale, in cui le canzoni ruotano spesso intorno a pochi accordi, che le riescono comunque a rendere decise, piacevoli e “intrippanti”. Il paragone è senza dubbio azzardato ma si ode un eco di quel “The Velvet Undergound and Nico” che ha letteralemente cambiato la storia della musica (a mio avviso il miglior disco rock di sempre, giusto per dire). Predominano nettamente pezzi dolci, leggeri e di animo nobile, alla MGMT, ma non mancano però venature più rockeggianti e ritmate come il brano d'apertura “For You” (una bella cavalcata Beatles/Oasis style), “Suitcase” con il suo giro di chitarra molto retrò , “Place To Hide” (forse la canzone più ballabile e di anima pop) e la canzone di chiusura “Grand Avenue”, molto classic rock. Una particolare menzione merita la traccia “Homestead”: un minuto e diciannove secondi di sperimentalismo strumentale con chitarra e armonica che richiama la leggiadria e l'armonia delle onde del mare e che funge quasi da pausa distensiva alla metà esatta dell'album.
Annies è, dunque, in ultima analisi, un disco delicato e profondo che finirà con il cullare a le vostre serate e i vostri pensieri. Trip morbido.
Marco Salvador
DANCE LIKE SHAQUILLE O'NEAL
Annies è un gran bell’album, lo ripetiamo. Avanti così.
Posted by Anonymous at 2:00 PM 0 comments